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sabato 24 giugno 2023

[senza titolo]

C'è una luce insostenibile, fuori.
Dopo giorni torridi oggi non c'è afa, ma la la luce è davvero troppa, troppa.
Non bastano le ore della notte per mettermi in pari con il lavoro, e quel giorno alla settimana - forse meno di uno - in cui dormo il giusto, mi sveglio con un cerchio alla testa come postumi da sbornia che non passano senza antidolorifici, o a volte quando arriva il tardo pomeriggio.
Mi sembra di correre, correre, correre, e quando non corro quella pressione addosso resta, c'è sempre.
Corro come un criceto, un ratto da laboratorio, eppure resto sempre lì, "lì" perché dire "qui" varrebbe a dire identificarmi in un luogo, o quantomeno ammettere di esserci fisicamente.

Da un po' non sento più il bisogno di un senso di appartenenza: a un luogo, a determinati amici, a un amore, e lo trovo un bene. Credo di avere una maggiore consapevolezza di me, un'autonomia, per la quale so che posso reggermi sulle mie gambe più di quanto non pensassi tempo fa. Per carità, ci sono persone fidate, ci sono rapporti molto maturi e profondi ma liberi, e se verrà qualcos'altro, qualcun altro, che siano effimeri o speriamo più duraturi, saranno qualcosa o qualcuno da incontrare, o in cui riconoscermi, non a cui correre dietro.

Ma c'è sempre un senso di incompletezza, un preludio di fallimento; c'è un luogo di origine e c'è una famiglia di origine che mi stanno stretti, che vorrei tenere ai margini ma sconfinano, dilagano e mi avvinghiano come se non fossero mai qualcosa da cui potermi distaccare davvero per tracciare i bordi del mio io.

La casa natia è l'ultima roccaforte di un ideale di famiglia unita ed estesa, facciata sbriciolata troppo facilmente da una vedovanza non voluta, un'omosessualità non voluta, una separazione non voluta: ne resta un uomo a cui pure voler bene in qualche modo, ma capriccioso come un monarca destituito e ostinato che vuole restare sul suo palco monoposto ad essere applaudito, o anche solo guardato.

Fuori della porta di casa, una terra di nessuno, una strada trafficata, e dopo un poco, il quartiere.
Un luogo dove si nasce già morti e niente cambia mai, come se tutto fosse fermo agli Anni Cinquanta, tranne i veicoli, i soldi, i vestiti, la tecnologia, roba strettamente contingentata all'epoca. Un posto piccolo, dove tutti sanno tutto di tutti e io non so niente. Un luogo dove la vita gira perché i maschi vanno al bar del quartiere, perché esiste la figa, il calcio sui maxischermi e tornei regionali di sport secondari dove inimicarsi qualcun altro. Un luogo dove la vita gira così, è sempre stato e sempre sarà, non c'è vita altra. Il centro è già un luogo esotico, pur chiuso in una morsa simile, e al di fuori del comune non esiste niente, o perlomeno niente di tanto appagante quanto il ritornare al bar del quartiere.

Quelle borgate che pure Pasolini abbracciava con una pietà, un amore misericordioso degni di un dio buono, o di una Vergine Maria, io le trovo tentacolari come il rione di Lenù, non-luoghi in cui non riconoscersi, eppure dove ritornare, o esserci trascinati, o da cui semplicemente non poter sfuggire, e così ricadere sempre, impantanati fino al collo con non si sa quanta consapevolezza. È un cedere al pianeta Solaris, all'illusione di stare bene che nutre solamente se stessa, è un eterno "vitelloneggiare", e cosa devo fare per prendere il treno?

domenica 17 ottobre 2021

[senza titolo]

è solo sonno e spossatezza,
è (solo?) solitudine e tristezza.

domenica 19 settembre 2021

[senza titolo]

Faccio cose nuove. O quantomeno diverse e mi sento più nuovo io.

Sono determinato a lanciare un mio progetto, anzi due, creativi.
Devo solo capire come sbrogliare alcuni aspetti burocratici e trovare il tempo da dedicare loro; che detta da me fa un po' ridere, ma davvero voglio farlo.

Ho voglia di dare più attenzione al mio corpo, pur senza eccedere: curo meglio i denti, il viso, forse mi ri-iscrivo in palestra dopo secoli, che ci pensavo da un po' ma ci è voluta la frecciatina di un vecchio scopamico; forse voleva solo mostrare il suo disappunto alla mia inerzia atavica ma senza essere troppo diretto perché non ha abbastanza confidenza o spregiudicatezza, ad ogni modo l'ho preso come un'opportunità.

Oggi mi sono svegliato molto presto dopo una lunga dormita, un mal di schiena inaspettato non mi ha fermato, anzi mi faceva star male a letto, quindi alle 6.30 sono uscito a leggere fuori casa, come quando ero in vacanza e come mai fatto prima, nonostante il giardino qui sia molto meno "accogliente" nel senso stretto del termine: è grande, molto bello, e soprattutto curato, ma è come un ornamento, un soprammobile, da guardare e non da vivere, forse per come è sistemato in maniera datata; no, forse non è molto bello, ma di certo curato. È ancor più scoraggiante quello che c'è oltre, un monolite di fabbrica, verniciato di bianco troppi anni fa e ora incrostato e sporco, che copre l'orizzonte, che comunque sarebbe una distesa di capannoni industriali, ma non fa niente. Ho rimesso le infradito ergonomiche comprate apposta per la vacanza, che fa ridere a pensare siano un'imitazione pagata un sesto delle originali e in un negozio dubbio, ma sono realmente le più comode calzature che abbia mai avuto, e il piacere di indossarle anche per il simbolo che rappresentano, il ricordo di quanta (e quale) strada fatta insieme, ben vale sopportare ai piedi un fresco un po' troppo fresco come è giusto che sia a fine estate e a quest'ora di mattina, così improbabile per me.

Ho questo libro scoperto per purissimo caso grazie a M. - la vacanza ancora si sente, e va bene finché mi fa bene - e servirebbe un'altra pagina per descrivere le assurdità improbabili in mezzo a cui l'ho scoperto, ma come il meno per meno fa più in matematica, qui mi è sembrato di aver trovato una perla tra i porci, quelli canonici e quelli di Orwell.
C'è questa donna, così lontana dal mio essere, che scrive della sua relazione tossica (e chissà se o quanto la storia è romanzata) con un concatenarsi affascinante di parallelismi tra il malamore e la sua vita quotidiana, dai gesti ai luoghi, e soprattutto i luoghi. L'impressione che ho avuto all'inizio è stata di velocità nella scrittura, ma non in senso di fretta, quanto capacità di sintesi: non soffermarsi troppo a lungo su un concetto, tanti ce n'erano da mettere in riga. Oggi che l'ho ricominciato, noto il contraltare della velocità, e non in senso negativo: ogni parola conta tanto, ha il suo peso specifico, è incastonata e calibrata fra altre con un rigore tale da ottenere la massima resa con il minimo sforzo, o meglio, con la massima economia di caratteri. Dall'impressione di rapidità iniziale, ora paradossalmente mi risulta un testo molto denso, e mi piace stare attento a ogni parola, spremerle tutte per non perderne il succo; non credo mi fosse mai capitato altrettanto prima, non sono un gran lettore, seppur avido quando capita, ma ero semplicemente abituato a una certa alternanza nei toni e nel lessico: linguaggio sciolto e scorrevole, talvolta anche banale - perché no? - con qualche parola o concetto di spicco qua e là, che abbia la giusta cornice, uno spazio ergonomico e vitale attorno a sé. Un po' come la tastiera di un pianoforte, dove i tasti neri sono più piccoli e in numero inferiore dei bianchi, ma è impossibile non notarli proprio per come si stagliano su questi ultimi, e alla fin fine comunque i tasti servono tutti - o giù di lì - per comporre un'armonia. Di qua invece pare un concerto di soli tasti neri, che sulla carta non penseresti funzionerebbe mai, eppure ognuno è come una goccia di inchiostro colorato, o profumo, concentratissimi, che si spande nell'acqua appena lo pucci dal contagocce. E l'acqua che rende il profumo sopportabile o il tono di colore gradevole, lo dico con un poco di vergogna per la superbia, la mette il lettore.

Ed è buffo ragionare su quante e quali parole si usino, e come vengano recepite, proprio in giorni in cui mi pare di non sapermi esprimere e di non essere capito, nonostante la cura che metto nel calibrare il linguaggio, evitare malcomprensioni che poi arrivano, troppo spesso e purtroppo anche con un coefficiente moltiplicativo notevole in base a chi è l'interlocutore.
Ho avuto qualche discussione e grossi problemi di comunicazione di base con uno dei miei amici più cari, una di quelle due persone e mezza al mondo che guai a chi me le tocca, o toccava; da qualche giorno ci parliamo poco e svogliatamente, e non capisco neanche quanto slancio abbiamo di riavvicinarci: il mio, dopo qualche tentativo, sta scemando; il suo, non so se c'è mai effettivamente stato. Non per cattiveria o che, forse pensa che è il problema è solo mio e non è affar suo, ma non voglio soffermarmi troppo su questa ipotesi perché sarebbe tremenda, non voglio pensarci troppo perché ho le ciabatte della vacanza e voglio sentirmi nuovo e magari lasciare andare liberamente qualcosa che non va, che poi magari torna, o forse no ma almeno è libera.

mercoledì 8 settembre 2021

Amico

amico tu,
amico vero,
amico d'odio cieco e sordo,
amico armato, contro chi?
amico armato e disarmante.

mercoledì 1 settembre 2021

M 7

In virtù dell'imponderabile, le persone si incontrano.
Ma nell'ora in cui tutti gli orologi segnano Partenze e Arrivi, capita che, per ragioni non precise, questi non coincidano.
Inutile scrivere poesie inutili sulle poesie tristi. La vita è tutta partenza e arrivo, e le destinazioni sono le più svariate. Ma se Incontro c'è stato,
e c'è stato, sta alle genti sincronizzare il tempo.
Una volta il tempo di avvio era uguale per tutti.
Ora occorre riconoscerlo.
Non perdiamoci.

[lo stesso giorno]

M 6

Apro gli occhi tardi, come mai in questi giorni, ma sempre in modo naturale e senza sveglia, sereno nonostante la partenza. Vado in bagno, metto qualcosa in valigia, apro la porta della stanza per andare a fare col--

Un sacchetto di plastica blu.
(ma che ci fa dell'immondizia q--)

Una cartolina.
Una lettera.
Una coppa di ceramica benaugurale.
Tre dolci fatti a mano e incartati uno a uno.
Un dono.

[lo stesso giorno]

M 5

L'ultima notte qui, in vacanza.

La penultima volta che mi siedo a questo tavolino in "cortile" dove mi pare di aver vissuto una vita, anche se sono state una manciata di ore diluite in una settimana.
Ma posso dire che questo tavolino, proprio di fronte alla mia stanza, appena più appartato degli altri cinque o sei, forse sette, che ci sono intorno, e sempre carezzato da un filo di aria fresca, è stato la mia oasi, e sì, posso dire che qui, anche solo leggendo, o scrivendo poche pagine, ho vissuto.

È triste sapere di doverlo lasciare presto, è triste sapere che da qui a breve dovrò ricominciare a dare un nome ai giorni (quando sei in vacanza, cosa significano più le parole "lunedì" o "martedì" perché sia necessario usarle?), ma quest'oasi ha il sapore di tante cose che non possono andare perse. Non devono.

Porto via con me, oltre a poche cose da mangiare, tre pumi, due in regalo e uno per me. Anche se è un simbolo inflazionato con le sue miriadi di varianti dal nord al sud della regione, trovo che quello di (ri)nascere come una gemma che il pumo stesso rappresenta, sia uno degli auguri più belli che si possano fare a chiunque, specialmente a qualcuno che ne ha bisogno. Ma per me sono anche il simbolo di questi giorni trascorsi, e oltre a questo, porto molto altro.

Il primo ricordo bello di questo viaggio sono stati due bambini che con i genitori camminavano a pochi passi da me, tutti diretti a Castel del Monte, su un breve tratto di strada da percorrere a piedi. Questi bambini salutavano ogni cosa vedessero - "Ciao strada!" "Ciao collina!" "Ciao macchina!" "Ciao puliziotto!" - forse in una competizione gioco che potrei aver fatto anche io alla loro età, e avevano una purezza e un entusiasmo che oggi sembrano difficili da trovare anche tra i più piccoli.

Una volta, una cara persona mi fece notare che la parola "entusiasmo" ha un'etimologia greca per cui "en theos ousia" significa "portare in sé l'essenza divina". E quando ho sentito quei teneri marmocchietti giocare così, credo proprio di aver desiderato il loro stesso entusiasmo.

Quindi, ciao tavolino, ciao sedie di plastica e ciao sedia di ulivo, ciao a tutti gli ulivi e le strade coi muretti a secco così apparentemente infinite e identiche ma che sto imparando a riconoscere, ciao casa vacanze e i tuoi tesori, che ogni dettaglio di buon gusto pare un piccolo atto d'amore, ciao M., o A., come magari una volta o l'altra ti chiamerò scimmiottando un accento barese, ciao F., V., G. e l'incantevole B. , ciao borghi e labirinti magici, ciao a tutto quant'altro non entra qui, e non ultima, ciao infatuazione, che molto più era angoscia di non capire, e benvenuta verità, che anche da un "no" puoi aprire infinite strade più belle di prima.
Come la prima cosa che ho ricevuto qui è stata una bottiglia d'acqua fresca, siete stati acqua viva in una terra creduta arida.

lunedì 30 agosto 2021

M 4

"Dopo ci prendiamo un attimo e parliamo", mi dici sereno.
"Mi pare giusto", rispondo sereno.

[lo stesso giorno]

M 3

Mi vergogno come un ladro, per non essere riusciti a parlare di persona, per il mezzo desueto, per le parole che una volta mi piacciono e l'altra no, ma scelgo il male minore bene maggiore: non voglio star male.
È l'una passata, ho provato ad aspettarti ma il freddo e il sonno sono troppi: ti lascio queste pagine davanti alla porta.

"Scusa la calligrafia, e anche un po' il contenuto."

 

domenica 29 agosto 2021

M 2

 Confini.

Distanze.

L'infinito che passa fra zero e uno, il niente e l'essere.

Basta un minimo di audacia, o spregiudicatezza (che non è poi così diversa) per superarli, e lo so bene. La sfida diverte, il risultato gratifica, e le delusioni sono rare.
Sta tutto nel dire "Non ho niente da perdere" e lanciarsi.

E se qualcosa da perdere c'è?

[lo stesso giorno]

M 1

Scrivere. Ecco, basta poco, un taccuino e una Bic nera. Basta poco, quando lo fai per gli altri: un minimo di fantasia, qualche trucchetto accattivante, e sei a cavallo. Ma farlo per me stesso, Dio da quanto non lo facevo, è diventato spiazzante. Mettersi a cuore nudo, mettere in fila i pensieri, i sentimenti, le paure - e per farlo bisogna osservarli e dargli un nome - non ci ero più abituato.
Ma se da qualche parte bisogna pur iniziare, togliti sto dente Grì, e dillo.

Ho preso una cotta. Una sbandata, una infatuazione, come non mi accadeva da anni, ed è partita troppo in fretta la bilancia che oscilla tra il pesare gesti affettuosi non dovuti, e segnali che sanno di cortese distacco.

Anche capirsi tra persone a volte richiede di comunicare a cuore nudo, e quanto è difficile a volte!, e allora scrivere, di nuovo, vedere le parole per capirle, io per primo, ché oltre la sequenza convenzionale di lettere, segni e suoni, c'è il significato, e con quello bisogna fare i conti.
E facciamolo allora: scrivere i pensieri, scrivere le parole, soprattutto quelle non dette.

- M., sarebbe (stato?) bello dormirci addosso. 

- Mi piaci. Di corpo, di testa, di come pensi, di quello che dici e quello che non dici ma che ti lascia un'ombra diversa nello sguardo di uno dei tanti selfie su Instagram. Mi piaci, e più di quello che temevo, e anche con questo devo fare i conti. Con uno smuoversi dentro che avevo rimosso e che mi pare di non saper più gestire, e mi rende impacciato e imbranato come un ragazzino, e come un karma, più penso a questa cosa e più si concretizza.

- Dimmelo. Dimmelo chiaramente e non ci pensiamo più. Dimmelo che non ti piaccio per fisico, età, esperienze, o magari proprio per via di questa imbranatagine del cazzo che di certo non è sexy.
Dimmelo, che "non è il caso", per un trilione di motivi tuoi, miei o altri ancora. Dimmelo, ma tienimi abbracciato un giorno di fila.

 

 

Forse la lista delle cose da dire non è finita, ma un attimo l'emozione mi ha vinto, è scesa qualche goccia a rigarmi il viso; curioso, per quanto mi sentivo arido prima, magari un po' d'acqua, seppur salata, può portare vita ugualmente. E magari può far bene rieducarmi a vivere le emozioni, e quale tempo migliore per farlo, se non ora, lontano dal tran tran quotidiano che tutto macina e poco lascia?

Passa F. a chiamarti per aiutarlo con le colazioni. Qualche istante ed esci.
Un pollice alzato a dire: "Tutto ok, dormito bene?".
"Sì."
A domanda rispondo. Sembra facile.
Ma bastano pochi secondi - comunque troppi - per rendermi conto di quante cose non dette possono esserci in due stupidissime lettere pronunciate meccanicamente. Qualcosa tipo: "Sì, ho dormito bene, ma stranamente meno del previsto. Davvero, non turbato [il sonno],  ma stranamente poco. Fermati un attimo, anche se so che hai da fare." Fermati, ché vorrei notassi che scrivo, e vorrei farti leggere, ma non ora.

"Sì."
Risposta veloce, semplice, pronunciata con cordialità ma che se non è seguita da nient'altro diventa distacco, e appunto quanto non-detto, quante supposizioni vere o infondate si nascondono, inscatolate dentro due lettere che a rivederle sono diventate banali e insufficienti.
Fingere può essere facile, se fatto consapevolmente, anche lì bastano alcuni trucchetti e il gioco è fatto. Come Pollicino, fai una strada, e se necessario, sai come farla a ritroso. Ma quando fingi inconsapevolmente, quando il dare per scontato, la supposizione appunto, costruisce torri e schermi fino a dire banalità col pilota automatico, e anzi ti allontanano da quello che vorresti, ecco, quelle cose lì come si smontano?
Suona la sveglia del telefono.
Colazione.
Pausa.

martedì 26 giugno 2018

sei
l'affanno, il brivido, la perdita
del ritmo regolare del respiro.

Ti scrivo buon compleanno e - davvero - mi gira la testa.

martedì 2 gennaio 2018

ferite

che si riaprono
e si riaprono.

lunedì 13 novembre 2017

[senza titolo]

a fatica
sto recuperando pezzetti di me,
e (non) arrivi tu
e il vuoto che lasci.

mercoledì 24 maggio 2017

abbiamo lo stesso sangue

sei più grande di me,
credi nella giustizia,
nella legalità,
leggi Saviano e voti Grillo,
e sbatti telefoni in faccia
e metti zizzania
e neanche
mi dici
le cose
in faccia.

martedì 25 aprile 2017

otto mesi

e non mi è mancato niente.
non mi sono mancati problemi.
non mi è mancato scrivere.

ne ho passata una bella grossa, e di certo devo ancora riprendermi.
è un periodo di andare avanti per inerzia, per non pensare, per non impegnarmi, perché niente o quasi sembra valere la pena.
c'è il lavoro che chiede tanto, c'è la famiglia che chiede tanto, ci sono io che non so se do abbastanza, ci sono io che a forza di credere di darmi non mi trovo più.
ma ogni tanto c'è qualche soddisfazione, e senza grandi cose.
ci sono gli amici, molto pochi e raramente presenti, ma buoni.
c'è l'amore, che non è un amore, che oggi sono due anni anche se siamo single da uno e mezzo.
c'è un ritorno d'inverno, ci sono terremoti e test nucleari, ci sono le ascese delle destre e dell'individualismo, c'è una sera qualunque che una canzone di Moby, o fossero stati anche gli Smiths, c'è una sobria malinconia di fondo, e un giovane uomo che accenna un sorriso serio.

venerdì 19 agosto 2016

post #1000

"Con quello che hai passato, ci sarebbe proprio voluto un abbraccio dei nostri.
Promettimi che appena avrò finito il trasloco verrai a trovarmi.
Voglio rivederti, e parlare di quello che ci è successo."

venerdì 5 agosto 2016

Mamma

che ti hanno riacciuffata per i capelli
nonostante fossero appena ricresciuti.

martedì 10 maggio 2016

[senza titolo]

e poi
forse
tra una parola e l'altra
hai detto
che sei stato stupido
ad andartene.

domenica 3 gennaio 2016

duemilasedici

Brindo con un bicchiere a metà,
a un anno che inizia, a un altro che è finito.
Alle risate, ai pianti, alle apatie che comunque sono servite e sono maturate,
agli incontri, agli addii, e ai ritrovamenti,
alle prove, alle vittorie e alle prove ancora.
A quello che ho imparato, a quello che ho imparato a lasciare andare.
A un tatuaggio su un braccio, e uno sull'altro,
e a me che sto nel mezzo.