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domenica 19 settembre 2021

[senza titolo]

Faccio cose nuove. O quantomeno diverse e mi sento più nuovo io.

Sono determinato a lanciare un mio progetto, anzi due, creativi.
Devo solo capire come sbrogliare alcuni aspetti burocratici e trovare il tempo da dedicare loro; che detta da me fa un po' ridere, ma davvero voglio farlo.

Ho voglia di dare più attenzione al mio corpo, pur senza eccedere: curo meglio i denti, il viso, forse mi ri-iscrivo in palestra dopo secoli, che ci pensavo da un po' ma ci è voluta la frecciatina di un vecchio scopamico; forse voleva solo mostrare il suo disappunto alla mia inerzia atavica ma senza essere troppo diretto perché non ha abbastanza confidenza o spregiudicatezza, ad ogni modo l'ho preso come un'opportunità.

Oggi mi sono svegliato molto presto dopo una lunga dormita, un mal di schiena inaspettato non mi ha fermato, anzi mi faceva star male a letto, quindi alle 6.30 sono uscito a leggere fuori casa, come quando ero in vacanza e come mai fatto prima, nonostante il giardino qui sia molto meno "accogliente" nel senso stretto del termine: è grande, molto bello, e soprattutto curato, ma è come un ornamento, un soprammobile, da guardare e non da vivere, forse per come è sistemato in maniera datata; no, forse non è molto bello, ma di certo curato. È ancor più scoraggiante quello che c'è oltre, un monolite di fabbrica, verniciato di bianco troppi anni fa e ora incrostato e sporco, che copre l'orizzonte, che comunque sarebbe una distesa di capannoni industriali, ma non fa niente. Ho rimesso le infradito ergonomiche comprate apposta per la vacanza, che fa ridere a pensare siano un'imitazione pagata un sesto delle originali e in un negozio dubbio, ma sono realmente le più comode calzature che abbia mai avuto, e il piacere di indossarle anche per il simbolo che rappresentano, il ricordo di quanta (e quale) strada fatta insieme, ben vale sopportare ai piedi un fresco un po' troppo fresco come è giusto che sia a fine estate e a quest'ora di mattina, così improbabile per me.

Ho questo libro scoperto per purissimo caso grazie a M. - la vacanza ancora si sente, e va bene finché mi fa bene - e servirebbe un'altra pagina per descrivere le assurdità improbabili in mezzo a cui l'ho scoperto, ma come il meno per meno fa più in matematica, qui mi è sembrato di aver trovato una perla tra i porci, quelli canonici e quelli di Orwell.
C'è questa donna, così lontana dal mio essere, che scrive della sua relazione tossica (e chissà se o quanto la storia è romanzata) con un concatenarsi affascinante di parallelismi tra il malamore e la sua vita quotidiana, dai gesti ai luoghi, e soprattutto i luoghi. L'impressione che ho avuto all'inizio è stata di velocità nella scrittura, ma non in senso di fretta, quanto capacità di sintesi: non soffermarsi troppo a lungo su un concetto, tanti ce n'erano da mettere in riga. Oggi che l'ho ricominciato, noto il contraltare della velocità, e non in senso negativo: ogni parola conta tanto, ha il suo peso specifico, è incastonata e calibrata fra altre con un rigore tale da ottenere la massima resa con il minimo sforzo, o meglio, con la massima economia di caratteri. Dall'impressione di rapidità iniziale, ora paradossalmente mi risulta un testo molto denso, e mi piace stare attento a ogni parola, spremerle tutte per non perderne il succo; non credo mi fosse mai capitato altrettanto prima, non sono un gran lettore, seppur avido quando capita, ma ero semplicemente abituato a una certa alternanza nei toni e nel lessico: linguaggio sciolto e scorrevole, talvolta anche banale - perché no? - con qualche parola o concetto di spicco qua e là, che abbia la giusta cornice, uno spazio ergonomico e vitale attorno a sé. Un po' come la tastiera di un pianoforte, dove i tasti neri sono più piccoli e in numero inferiore dei bianchi, ma è impossibile non notarli proprio per come si stagliano su questi ultimi, e alla fin fine comunque i tasti servono tutti - o giù di lì - per comporre un'armonia. Di qua invece pare un concerto di soli tasti neri, che sulla carta non penseresti funzionerebbe mai, eppure ognuno è come una goccia di inchiostro colorato, o profumo, concentratissimi, che si spande nell'acqua appena lo pucci dal contagocce. E l'acqua che rende il profumo sopportabile o il tono di colore gradevole, lo dico con un poco di vergogna per la superbia, la mette il lettore.

Ed è buffo ragionare su quante e quali parole si usino, e come vengano recepite, proprio in giorni in cui mi pare di non sapermi esprimere e di non essere capito, nonostante la cura che metto nel calibrare il linguaggio, evitare malcomprensioni che poi arrivano, troppo spesso e purtroppo anche con un coefficiente moltiplicativo notevole in base a chi è l'interlocutore.
Ho avuto qualche discussione e grossi problemi di comunicazione di base con uno dei miei amici più cari, una di quelle due persone e mezza al mondo che guai a chi me le tocca, o toccava; da qualche giorno ci parliamo poco e svogliatamente, e non capisco neanche quanto slancio abbiamo di riavvicinarci: il mio, dopo qualche tentativo, sta scemando; il suo, non so se c'è mai effettivamente stato. Non per cattiveria o che, forse pensa che è il problema è solo mio e non è affar suo, ma non voglio soffermarmi troppo su questa ipotesi perché sarebbe tremenda, non voglio pensarci troppo perché ho le ciabatte della vacanza e voglio sentirmi nuovo e magari lasciare andare liberamente qualcosa che non va, che poi magari torna, o forse no ma almeno è libera.

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