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domenica 25 luglio 2010

depreco la settimana, ma maledico il weekend.

La settimana è lavoro, la settimana è lavoro, la settimana è lavoro; è un lento sopprimere di piccole perle di momenti per sé, in nome di una lista di cose da fare che divora e divora e cresce e non paga, se non di tanto in tanto un poco di soddisfazione e ancor meno denaro. E' un tirar più la cinghia oggi e domani e domani l'altro ché un giorno magari la allenti. E' il tempo in cui si è occupati in primis per schema mentale, e si fa muovere qualcosa che sembra poco di para-lavorativo. E' il tempo in cui si è occupati.
Il weekend è il tempo dell'horror vacui, del panico. Lo schema mentale crolla per (anche naturali) convenzioni sociali laddove dovresti intasarlo di quel qualcosa che sembra poco di para-lavorativo al punto che ti ritrovi ad altalenare fra il lavoro compulsivo e disumanizzante e il cazzeggio compulsivo nervoso che per sua natura non è di alcun sollievo né tantomeno aiuto ai lavoretti extra che ti sei sobbarcato o a passioni e progetti personali. Sale la sensazione di essersi calati troppo le braghe, o di essere stati costretti da certe contingenze, sembra di essere scarnificato, con una cornice di apatia, insofferenza personale e/o sociale, fino al rigettare a priori ogni interazione con altre persone. Salvo poi realizzare che c'è chi fa un lavoro remunerativo e magari nel suo piccolo soddisfacente, non ha strampalate ambizioni da rincorrere e fa abbondantemente vita sociale.
Sto iniziando ad odiare il mare di giorno d'estate, pur avendocelo a pochi chilometri: non per la mia ipertricosi (chiamiamola così) e non troppo perché sono ancora agli antipodi dell'abbronzatura. Resterei per tutto l'arco delle ore diurne barricato a letto a dormire neanche tanto per sonno (che magari ne ho davvero un po' arretrato) quanto per sfuggire.
Ok, buona domenica al nessuno che sta leggendo, e anzi forse sarà al mare, ma di sicuro a divertirsi.