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mercoledì 9 settembre 2009

[senza titolo]

Forse avrai notato che ultimamente non faccio largo uso delle tag.
Cresce una vaga voglia (alquanto vanitosa, a dire il vero) di vedere questi miei pensieri raccolti in un libro (perché si dovrebbe vendere una cosa che è già pubblica e gratuita? chi sarebbe interessato a pubblicarlo? dovrei aspettarmi io di ricevere proposte in merito? per farne un libro, si presuppone che il blog sia chiuso? o il libro diventa una sorta di collezione per capitoli?), e sicuramente influenzato da questo, come anche da un certo slancio esteta, ho realizzato che quello delle tag è uno strumento molto tecnico, utile dove c'è la necessità di discernere gli argomenti trattati.
Ma in un libro, è giusto spezzettare, creare compartimenti stagni, se c'è una storia che si racconta?
In un blog come questo, a prescindere dalla mitomania, c'è una storia, e anche più una persona, che si racconta, e non necessita di essere spezzettata per argomenti; forse, anzi, il leit motif rischia di perdersi quando sono evidenziati fatti più esteriori.
Lo stesso discorso poi si potrebbe fare per lo stile di scrittura: non parlo di me, che altaleno tra una certa fascinazione del parlare difficile (sebbene non abbia neanche un lessico così ricercato) e un vocabolario terra terra che a volte sente anche l'esigenza di infangarsi di dialetto o linguaggio strettamente colloquiale/informale, ma a certi livelli, è anche lo stile a comporre l'opera, e questo è completamente sghembo ai fatterelli, figuriamoci se catalogati.
Probabilmente una distinzione come quella delle tag può aiutare a fare un po' di chiarezza in una struttura come il diario che, per definizione, può essere abbastanza disordinata, ma non c'è del grig-io proprio in questo mescolìo?

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