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sabato 29 agosto 2009

[senza titolo]

La hall del residence era un piccolo cortile interno di un palazzo che non diceva niente, pavimentato e coperto forse solo dopo che la struttura era stata ultimata ed era operativa.
Sembrava una piccola piazzetta italiana kitsch così come amano immaginarla gli stranieri, somigliava ad uno dei tanti ristoranti italiani all'estero, e non solo, dalle scenografie tanto tipiche quanto stereotipate che quasi ti aspettavi di trovarci Lilli e il Vagabondo.
Un giro di soppalco che permetteva l'accesso alle stanze, un marciapiede rialzato a quasi un metro dalla piazzetta, ridisegnava il quadrangolo del perimetro, ripetendosi circa tre metri più in alto in una pedana/balcone che aveva la stessa forma e la stesso scopo.
Oltre, gli appartamenti.
Due piani di griglia di mattoni e porte e finestre perfettamente allineate nella più cruda urbanistica da motel; il terzo, per metà era identico ai precedenti, e per il resto occupato da pareti intatte di mattoni; forse, c'erano delle entrate sul retro.
Intravedere senza voglia né partecipazione, dietro le tapparelle smeraldo, storie torbide di coppie improvvisate, nel chiaroscuro nero e arancio di un tramonto che non sarebbe mai entrato lì, poi scendere ai tavoli per la cena borghese, a fantasticare ipotesi di shopping di lusso mediocre autoctono, mentre poco distante qualcuno dava le spalle a un qualche oratore per non vedere un televisore da due soldi ma scenografico quanto basta.
Proprio da quelle parti, la piramide a base quadrata disegnata da alcuni lampadari, sembrava scomporsi in una geometria sghemba, o, come era realmente, governata da una legge incomprensibile. I lampadari stessi, da quella prospettiva, sembravano occhi straniati, o in estasi, o fatti, che come un Magritte, o un Dalì, o una copertina dei Pink Floyd, si aprivano su un piano altro della realtà fisica. Come occhi di un grande fratello, o occhi di un dio, che scomodi e non invitati, interrogavano giusto i mattoni riguardo storie torbide.

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