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mercoledì 2 aprile 2008

[senza titolo]

non lo dico tanto per dire, non lo dico per luogo comune o per estremizzare, la città universitaria, in cui sono ricapitato dopo un po' di tempo, ha sempre il suo che.
ha sempre il suo substrato che mi affascina e che manca quasi del tutto alla mia cittadella, che non vuole sapere sa cos'è cultura, che non vuole sapere cos'è arte, che non vuole sapere cosa può offrire ai giovani oltre ai locali, fighetti (soprattutto) o meno che siano, che di città ha solo la scorza di edifici e traffico.
Ed è naturale che un passaggio praticamente occasionale nella città universitaria lascia quell'amaro che più che altro si dovrebbe dire acido pe quanto corrode, quella paura di rammollirsi, perdendo di vista tanta bellezza, e perdere, in ultima istanza, anche la tensione verso di essa, la fame.
Il quadro si chiude con il contorno (che contorno non è) del rivedere i più cari amici di studi (specializzandi), anch'essi dopo qualche tempo, e d'un tratto venir travolti dal venir meno di un senso di appartenenza, molto a causa di esperienze avulse, ma temo un po' anche per questa mia capacità di adattamento che a volte riesce quasi a tradursi in un fare tabula rasa di certi rapporti allentati dal tempo o dalle distanze.
E scatta la malinconia, che, se in valore assoluto è qualcosa minore del dolore, in realtà però è molto più persistente e a conti fatti grava di più. Un po' come l'esempio già fatto altre volte dell'acquazzone estivo a confronto con le giornate piovose autunnali.

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